Tattiche da thriller: quelle dove si vede la mano dell’allenatore.
Il calcio è un gioco che piace perché è semplice: un pallone, due squadre, una porta da centrare. Non importa se ti trovi su un campo di periferia o nello splendore di uno stadio internazionale; le regole restano le stesse, la magia non cambia.
Tuttavia, negli ultimi anni, c’è una tendenza a complicarlo. Gli allenatori impongono tattiche di gioco sempre più articolate e sofisticate che mettono in risalto il loro lavoro, come se una squadra fosse l’estensione dell’allenatore sul campo da gioco. In altre parole: fanno vedere la loro mano.
Alzi la mano chi vuole vedere la mano dell’allenatore?
Io no. E vi spiego il perché. Questa fissazione per la tattica sta trasformando le partite in performance in cui ogni movimento dei giocatori sembra predeterminato, studiato a tavolino. La mano tattico-pesante dell’allenatore soffoca l’imprevedibilità e reprime la creatività dei protagonisti in campo, due elementi che sono il cuore pulsante del calcio. Non è forse la giocata imprevedibile e fantasiosa che ci fa balzare dalla sedia?
In questi anni ho visto un calcio passare da un gioco fatto di intuizioni e creatività a una rappresentazione quasi cinematografica dove i giocatori recitano un copione scritto nei minimi dettagli. Il risultato? Troppe partite sono noiose come pozzanghere asciutte. La recitazione dei giocatori è tanto perfetta quanto ordinaria. Se i giocatori fossero degli attori, diremmo che non bucano lo schermo pur recitando alla perfezione la loro parte.
Il genio invisibile dell’allenatore
Un grande allenatore non è ossessionato dalla tattica concepita a sua immagine e somiglianza ma è quello che riesce a esaltare le qualità dei suoi giocatori, lasciandoli liberi di esprimersi.
Alfred Hitchcock aveva una filosofia simile. Nei suoi film, non ti mostra direttamente l’assassino, ma ti fa percepire la sua presenza. È un’ombra che striscia sulla parete, una porta che cigola, dettagli che alimentano un crescendo di tensione, fino al momento culminante. Così, anche nel calcio, non dovremmo vedere la mano dell’allenatore, ma percepire l’effetto delle sue intuizioni attraverso le azioni e l’estro dei giocatori.
La libertà del gioco
Pensiamo alle squadre che hanno segnato la storia del calcio: il Brasile del 1970, il Barcellona di Guardiola, il Milan di Sacchi. Certo, dietro c’era un enorme lavoro tattico, ma ciò che ricordiamo è la libertà dei giocatori di inventare, di stupire, di inventarsi giocate impensabili, anche sbagliando. È questa la magia che ci tiene incollati agli schermi o ci spinge a tifare dalle tribune.
Un allenatore deve essere un regista che prepara il set e crea le condizioni ideali, ma poi lascia ai giocatori il compito di improvvisare e rendere la partita viva anche improvvisando e seguendo l’istinto. Quando l’allenatore diventa il protagonista, il gioco del calcio si snatura, perde esuberanza e fantasia.
Perché il calcio deve rimanere un gioco semplice
Quando il gioco del calcio diventa troppo “tatticizzato”, rischia di alienare i tifosi e di spegnere l’entusiasmo. La semplicità non è una debolezza; è la leva che ha reso il calcio lo sport più amato al mondo.
Quindi, agli allenatori di oggi e di domani, propongo uno stimolo: lavorate nell’ombra. Fate come Hitchcock: lasciate il pubblico con il fiato sospeso, ma mai sopraffatto dai vostri dogmi; create le basi per il successo, ma lasciate che siano i giocatori ad essere all’altezza delle situazioni di gioco. Lasciate che siano loro a scrivere le trame che ci emozionano, che ci sorprendono, che contribuiscono a creare un finale a sorpresa.